La sociofobia, o disturbo d’ansia sociale, è la paura intensa e pervasiva di trovarsi in una particolare situazione sociale, o di eseguire un tipo di prestazione, che non siano, a chi ne è affetto, familiari e da cui possa derivare la possibilità di subire un giudizio altrui.*
Sono una persona introversa che fa fatica ad uscire dalla sua zona di comfort che dopo quasi un anno e mezzo è anche ridotta: la mia stanza e il bagno sono diventati i fuochi delle mie ellittiche e monotone giornate, tanto da farmi dubitare delle mie “fresche” social skill; non sopporto l’idea di ritornare tra la massa, in pratica, ho paura di qualunque volto che non sia quello di mia madre.
Non so se ti ritrovi in tutto ciò, ma il giorno in cui saremo costretti a tornare lo immagino come una lunga corsa ad ostacoli: la prima massa informe da affrontare è quella che aspetta il bus, bisogna tirare gomitate per usufruire di un trasporto pubblico che dovrebbe contenere la metà dei passeggeri effettivi, quindi per tutto il tragitto avrai il fiato di uno sconosciuto sul collo mentre sei schiacciato contro un altro individuo, per minimo mezz’ora.
Se hai la fortuna, o anche la sfortuna, di non dover seguire nessun corso ti perdi la seconda massa informe, che spinge contro le porte dell’aula per i primi posti, potresti aspettare per posizionarti in fondo ma ci sentirai poco, non vedrai nulla e avrai costantemente una centinaia di individui nel tuo campo visivo, con il costante terrore di essere chiamato dal prof.
Altrimenti potresti rifugiarti in qualche angolo nascosto dell’università sperando di non essere visto fino all’ora di pranzo, a meno che tu non abbia il pranzo a sacco o muori di fame o vai in mensa: le file interminabili di persone che aspettano affamate sono diventate il mio incubo, perciò la mensa è un vero inferno, situazione analoga anche per qualsiasi bar, preparati ad una centinaia di spallate e sguardi da orribili sconosciuti.
Poi potresti tornare nel tuo angolino oppure seguire di nuovo e riprendere quel bus affollato che ti riporterebbe a casa, la giornata finirebbe e io ne uscirei distrutto.
Ma la cosa che mi spaventa di più è che per questo caso, estremizzato per ilarità, la mia soluzione immediata (quindi non contando l’aiuto di uno psicologo, che sarebbe sicuramente la soluzione più logica ma più lunga e periodica) per andare per forza all’università, sarebbe girare per il campus con un cartellone in testa con scritto “NON GUARDATEMI, NON PARLATEMI”. L’unica soluzione immediata che ho concepito è ancora più esclusiva rispetto alle altre persone e imbarazzante, non cercherei di uscire dalla mia zona di confort ma di mettermici comodo allontanando tutti, sarei disposto ad essere preso in giro a patto che nessuno mi parli o mi guardi.
Quando si riaprirà la nostra università potrà essere una nuova occasione per rivivere noi stessi, quasi come imparare nuovamente l’amicizia e la coesione, ovviamente ci sarà più accortezza a causa dell’ultima pandemia ma non disdegnare ne un abbraccio o un saluto in più. Comunque, se dovessi notare un ragazzo che si aggira guardingo per il campus con un cartellone in testa, ti prego, non ridere di lui ad alta voce, potrebbe sentirti.
Vincenzo Cappalonga
*Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson.