Nonostante la categoria degli studenti universitari italiani sia stata la meno considerata dalle manovre governative di gestione del covid, l’Italia non smette di sfornare menti geniali, ottenitrici di record e risultati fuori dalla norma. Nei primi giorni di Giugno, Francesco Di Carlo, studente romano ventiduenne, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza in appena tre anni accademici anziché cinque, all’università Roma Tre (leggi l’articolo). Il ragazzo ha ottenuto una valutazione finale di 110 con lode, affermando di aver preparato 10 esami ogni mese. Le sue dichiarazioni alla stampa sono state poche, tra le quali «Non so cosa farò in futuro, ma voglio una doppia laurea». Qualora steste leggendo questo articolo in inverno, è molto probabile che Francesco si sia già laureato di nuovo.
Le prime settimane di Luglio invece hanno visto Samuele Cannas, studente venticinquenne dell’Università di Pisa, conseguire la laurea in Medicina e Chirurgia con 110 con lode (leggi l’articolo). Nulla di particolare, se il titolo accademico conseguito non fosse il primo, e se tra un paio di mesi Samuele non avesse ulteriori discussioni di laurea. Il ragazzo infatti ha più volte ribadito come lui sia a caccia di record (altre volte invece ha voluto definirlo un semplice “raggiungere i propri obiettivi”), e come ottenere un numero cospicuo di lauree sia il suo personale traguardo. Oltre alle cariche e nomine di congratulazioni che accerchiano il nome del giovane, le sue interviste sono corredate da dichiarazioni colme di frasi fatte e totalmente asettiche come quelle rilasciate per ANSA: «Penso che gli unici limiti siano quelli che ci diamo noi stessi…non ponetevi limiti, seguite i vostri sogni e non arrendetevi». Il discorso viene costruito parlando di limiti auto-imposti, come se il coronamento di un percorso di studi universitario (quello scelto aspirando all’ambito lavorativo ideale, e non per inseguire record) fosse un viale colmo di ostacoli posti soltanto da noi stessi. In parte, è sicuramente vero, il percorso universitario è al di là delle barriere dell’istruzione obbligatoria, ed è un cammino scelto e intrapreso con cognizione di causa, che dunque richiede particolare dedizione. Paolo Mancarella, rettore dell’università di Pisa ha addirittura elogiato la abnegazione di Samuele.
Ma siamo sicuri che i toni e le contestualizzazioni di articoli del genere siano giusti? Possibile che le uniche dichiarazioni ai loro coetanei rilasciate da persone così dedite alla cultura e allo studio, siano frasi semplicistiche che possiamo trovare facilmente in qualsiasi classico Disney? Perché non contestualizzare e spiegare nel dettaglio le modalità attraverso le quali le encomiabili menti raggiungono i loro traguardi? Ad esempio, l’articolo 142 del regio decreto n. 1592 del 1933 impedisce a tutti gli studenti italiani di frequentare contemporaneamente due percorsi universitari, che siano nello stesso ateneo o in due atenei distinti. Una recente proposta di legge parlamentare vorrebbe modificare tale articolo, attualmente in vigore. Non sarebbe necessaria una contestualizzazione da parte delle testate giornalistiche, per comprendere in che modo Cannas abbia potuto conseguire più lauree nello stesso anno? Quali sono state le modalità d’esame che gli hanno permesso di raccogliere crediti formativi come se nulla fosse? Ma soprattutto, è davvero così necessario utilizzare solo ed esclusivamente toni di elogio e frasi motivazionali prive di contenuto, in un periodo storico dettato dall’ansia da prestazione giovanile, dal distanziamento sociale obbligatorio e dalla precarietà del futuro degli studenti italiani?
Una ricerca del “COVID-19 International Behavioral Science Working Group” dell’Università di Harvard, ha mostrato che 71% dei giovani tra i 6 e 18 anni, hanno riportato problematiche comportamentali, tra cui ansia, ansia da separazione, disturbi del sonno, irritabilità e inquietudine. L’isolamento e le distanze sociali improrogabili hanno messo alla prova le capacità di adattamento, non solo per la limitazione della libertà personale e la necessità della riorganizzazione della routine domestica, ma anche per la quantità di informazioni che sono state divulgate, rendendo il momento storico particolarmente critico e pervasivo per la nostra vita sociale ed emotiva. Adottando una comunicazione capace di sottolineare esclusivamente l’arrivismo, esaltando l’ideale di studente moderno “capace di battere record”, non si fa altro che alimentare falsi miti e dipingere l’ambiente universitario utilizzando unicamente accezioni appartenenti all’emisfero della competitività e del “gareggiare contro gli altri”. Ben venga dedicare articoli a coloro che in lockdown (o anche prima) hanno voluto dedicarsi completamente allo studio raggiungendo traguardi anormali – e talvolta anomali –, ma è giusto non solo contestualizzare al meglio i casi, ma dedicare ogni volta una parola concreta per coloro che zoppicando, continuano silenziosamente i propri percorsi universitari.
La narrazione della stampa italiana finisce per divenire tossica, amplificando quel senso di inferiorità e ansia da prestazione che già fortemente serpeggia tra le menti dei giovani italiani. Parallelamente al complimentarsi con coloro che dimostrano capacità lodevoli; la stampa dovrebbe dar voce alle problematiche dei tanti studenti italiani alienati e travolti dal nostro presente sociale. Basti pensare a chi si è ritrovato a dover conseguire “quell’esame” che già in presenza sembrava insormontabile – tutti ne abbiamo almeno uno –, accerchiati dalla difficile convivenza forzata nelle quattro mura, con un clima domestico dettato dalla paura del contagio in continuo aumento al di fuori delle nostre finestre (ascesa fermata fortunatamente dall’arrivo delle vaccinazioni). Vengono coinvolti elementi che condizionano tantissimo la psiche dei giovani ma soprattutto la loro formazione rispetto alla società e agli ideali di realizzazione personale. Un modello di narrazione, quello della stampa, che esclude chiunque non tenga il passo, chiunque rimanga “indietro”, chiunque scelga di coltivare insieme allo studio anche la conoscenza di sé, magari dedicandosi ad una passione in particolare (vale anche il “Netflix and chill”, siamo figli della nostra epoca, anche nei modi di evadere dalla quotidianità). Bisogna invece dedicare parole e approfondimenti che sottolineino la costante ricerca di inclusività del mondo universitario, che non lasci indietro chi non riesce, chi sceglie di investire tempo e risorse in altro, chi si smarrisce o semplicemente ha bisogno di più tempo.
Coloro che raggiungono traguardi universitari in breve tempo o con prestazioni anormali, dovrebbero non solo elencare le loro gesta ma descrivere al meglio i loro percorsi e i loro casi, diventando concretamente esemplari dando suggerimenti, consigliando particolari abitudini. Ad esempio, io stimo fortemente chi riesce a coniugare lo studio universitario con il lavoro, anche soltanto per affrontare le spese universitarie, così come stimo coloro che non si danno per vinti, e continuano il loro percorso di studi tra mille problemi. Per me persone così vanno elogiate in maniera eguale o superiore a chi in 3 anni ha conseguito 6 lauree ma estraniandosi dalla attualità che lo circonda.
Antonio Tufano